II CORO dell’ “ADELCHI” (A. Manzoni)

Sparsa le trecce morbide
sull’affannoso petto,
lenta le palme, e ròrida
di morte il bianco aspetto,
giace la pia, col tremolo
sguardo cercando il ciel.

Cessa il compianto: unanime
s’innalza una preghiera:
calata in su la gelida
fronte, una man leggiera
sulla pupilla cerula
stende l’estremo vel.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardori;
leva allEteno u candido
pensier d’offerta, e muori:
fuor della vita è il temine
del lungo tuo martir.

Tal della mesta, immobile
era quaggiuso il fato:
sempre un obblio di chiedere
che le saria negato:
e al Dio de’ santi ascendere,
santa del suo patir.

Ahi! nelle insonni tenebre,
pei claustri solitari,
tra il canto delle vergini,
ai supplicati altari,
sempre al pensier tornavano
gl’irrevocati dì;

quando ancor cara, improvida
d’un avvenir mal fido,
ebbra spirò le vivide
aure del Franco lido,
e tra le nuore Saliche
invidiata uscì:

quando da un poggio aereo,
il bion crin gemmata,
vedea nel pian discorrere
la caccia affaccendata,
e sulle sciolte redini
chino il chiomato sir;

e dietro a lui la furia
de’ corridor fumanti;
e lo sbandarsi, e il rapido
resir dei veltri ansanti;
e dai tentati triboli
l’irto cinghiale uscir;

e la battuta polveere
rigar di sangue colto
dal regio stral: la tenera
alle donzelle il volto
volgea repente, pallida
d’amabil terrore.

Oh Mosa errante! oh tepidi
lavacri d’Aquisgrano!
ove deposta l’orrida
maglia, il guerrier sovrano
scendea del campo a tergere
il nobile sudor!

Come rugiada al cespite
dell’erba inaridita,
fresca nwegli arsi calami
fa rifluir la vita,
che verdi ancor risorgono
nel temperato albor;

tale al pensier, cui l’empia
virtù d’amor fatica,
discende il refrigerio
d’una parola amica,
e il cor diverte ai placidi
gaudii d’un altro amor.

Ma come il sol che reduce
l’erta infocata scende,
e con la vampa assidua
l’immobil aura incende,
risorti appena i gracili
steli riarde il suol,

ratto così dal tenue
obblio torna immortale
l’amor sopito, e l’anima
impaurita assale
e le sviate immagini
richiama al noto duol.

Sgombra, o gentil, dall’ansia
mente i terrestri ardiri;
leva all’Eterno un candido
pensier d’offerta, e muori:
nel suol che dee la tenera
tua spoglia ricoprir,

altre infelici dormono,
che ilo duol consunse; orbate
spose dal brando, e vergini
indarno fidanzate;
madri, che i nati videro
trafitti impallidir.

Te della rea progenie
degli oppressor dicesa,
cui fu prodezza il numero,
cui fu ragion l’offesa,
e dritto il sangue, e gloria
il non aver pietà,

te collocò la provida
sventura in fra gli oppressi:
muori compianta e placida:
scendi a dormir con essi:
alle incolpate cenerri
nessuno insulterà.

Muori; e la faccia esanime
si ricomponga in pace;
com’era allor che impròvida
d’un avvenir fallace,
lievi pensier virginei
solo pingea. Così

dalle squarciate nuvole,
si svolge il sol cadente,
e dietro il monte, imporpora
il trepido occidente:
al pio colono augurio
di più sereno dì.

(Letta da Eddangela)

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